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A torto e a ragione

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Spesso, siamo convinti di avere ragione e quindi, di contro, c’è sempre qualcuno che ha torto.  Difficile capire dove sta la verità, ma partendo dal fatto che non esiste una verità assoluta, abbiamo smesso di cercarla.

Ognuno si costruisce uno spazio in cui le teorie prendono il posto della realtà e non si sente più niente, ma si pensa di sentire.
Ogni cosa è astratta perché si prescinde dai fatti, si conosce già il significato delle cose prima che accadano. Viviamo a priori, anzi, pensiamo di vivere.

Qualcuno poi se ne accorge e cerca, invece, di vivere una vita reale. Ci prova almeno, anche scontrandosi con tutti quelli che pensano e non vivono.

All’inizio è un gran successo. Anche i ‘teorici del vivere‘ infatti, restano affascinati da chi dà risposte concrete.  Poi, però, quando la concretezza comincia  a sgretolare le pareti astratte che mettono al riparo chi ha paura di sentire, allora non c’è più dialettica che valga la pena di portare avanti.

milo-manara_legaambienteE bisogna essere forti e bravi a staccarsi dall’immagine che avevamo di quelle persone, perché sono le reazioni che hanno a fare la loro nuova realtà. E questa realtà che ci troviamo di fronte non ha niente a che fare con l’immagine di un momento prima, quella che ci faceva ridere e stare bene.

Ecco, in ciò sta la difficoltà di stabilire un rapporto reale con le persone: nella capacità di separarsi continuamente dalle immagini che ci creiamo degli altri.

Così, è difficile pensare che la persona che abbiamo amato possa sparire all’improvviso e restiamo per mesi o per anni ad aspettare che si rifaccia viva, che ci dia una spiegazione.  L’errore sta proprio nel verbo: pensare. Bisognerebbe sentire invece di pensare e, soprattutto, bisognerebbe ascoltare ciò che si sente invece di perdere tempo a spiegarlo a chi non può o non vuole ascoltare. Capiremmo così, che ‘sparire‘ è un movimento che contiene già in sé la spiegazione tanto attesa e, forse, riuscendo a vedere la persona amata con questa nuova immagine smetteremmo di aspettarla.

Molto più semplicemente, bisognerebbe imparare a sentire e poi a fare invece di parlare.

Per quanto mi riguarda, dopo un’intera vita spesa a cercare di spiegare agli altri invece di ascoltare ciò che sentivo,  ho finalmente imparato a ‘sentirmi‘ e a muovermi di conseguenza.

Per farlo c’è voluto tanto lavoro, una separazione importante, la realizzazione di stati d’animo a cui non avevo mai dato il giusto nome e, in seguito, piccoli ma grandi incontri che mi hanno permesso di mettere in pratica un nuovo modo di relazionarmi.

E di scontri ne ho avuti, parecchi, durissimi, dai quali però ne sono uscita sempre nel modo migliore per me, senza vuoti o annullamenti che si ripercuotessero sulla mia vita psichica e materiale.

Non è stato facile e non lo è. Difficile dare il giusto nome alle cose, alle persone e ai sentimenti, ma prima di dargli un nome ho imparato a sentire senza paura.

Sentire la propria realtà interna e quella degli altri prescinde da ogni condizione materiale  altra cosa è vivere ciò che si sente, che invece richiede grande attenzione anche alla realtà materiale propria e dell’altro.

Non so, ma in questo periodo vivo personalmente, e osservo nelle persone che mi circondano e alle quali voglio bene,  il tentativo di muoversi e sentire i rapporti senza prescindere da sè, ma anche senza ignorare la realtà altrui.

Ecco il motivo di questa riflessione.

Vorrei raccontare mille storie, dandogli anche un taglio più ironico (perché la realtà ha sempre in sè una buona dose di umorismo), ma poi dovrei dire del nuovo amico regista, capace di cogliere la surreale verità degli altri, raccontandola in modo poetico, ma ancora incapace di percepire se stesso come un adulto; dovrei raccontare di amici che si rincontrano dopo anni e vivono un dejavù amoroso in una realtà, interna ed esterna, che compromette i loro sentimenti; dovrei dire delle separazioni da amici indifferenti e da quelli che non si comportano come tali; dovrei raccontare storie surreali di appuntamenti mancati e di passioni ritrovate; dovrei dire di un amico al quale da tempo vorrei parlare di un certo argomento, rischiando di essere mandata ‘affanculo, e con il quale finisco sempre a bere e scherzare, cercando di trasmettere il mio affetto in pochi, intensi abbracci; dovrei raccontare della cena di ieri sera in cui ritrovo il senso reale del mio sentire, attraverso una convivialità fatta di affetti vecchi e nuovi.

Vorrei raccontare anche delle tante scene e immagini cinematografiche che in questa settimana hanno riempito il mio immaginario; e delle parole di un film per dire a chi ha fatto silenzio dentro di sé, che la vita non si ferma mentre cerchiamo le risposte.

E bisogna aver buon orecchio per sentire in mezzo a tutto questo rumore.
Non c’è torto e non c’è ragione a conferma del nostro agire, se non un profondo sentirsi e la risposta degli altri che, spesso, anche quando è violenta e anaffettiva ci indica la strada da seguire.

Sento e continuo a seguire una strada fatta di gesti che hanno un significato, di persone che trovano il modo di sfiorarmi e abbracciarmi anche se non sanno ciò che potrebbe accadere. Ho dentro di me l’immagine di un sorriso carico di promesse ancora non mantenute e lo sguardo di chi mi vede per la prima volta, anche se mi conosce da tempo.

Ricostruisco ogni giorno la mia realtà che cambia di continuo. Nuovi impegni e vecchi lavori, nuovi numeri di telefono da ricordare e altri da dimenticare. A torto e a ragione, secondo i punti di vista, continuo a percorrere una strada intrapresa anni fa,  scoprendo che basta aprire gli occhi per vedere il cielo, le nuvole, il sole e la luna.
A torto e a ragione non penso di vivere, ma vivo.
E ora non mi sento più sola.

  1. 27 Maggio 2009 a 14:15 | #1

    @kate
    …meglio “outing” che “nothing”!

    scusate ma non ho resistito 😀

  2. kate
    27 Maggio 2009 a 11:41 | #2

    So che non è bello e soprattutto dimostra una grande pigrizia mentale, ma ho deciso di limitarmi a sottoscrivere il commento di klauaus (compresa la parte sulla separazione dalla fasciatura!)… scusate ma sono impegnata in un difficilissimo lavoro di ricognizione interiore: sto cercando disperatamente alcune cosucce che non trovo più, tipo la mia capacità di sentire. Ecco, più outing di così si muore. Baci

  3. 27 Maggio 2009 a 9:05 | #3

    Avete già scritto quasi tutto, a parte il fatto che vorrei separarmi il prima possibile dalla fasciatura che mi costringe a tenere fermo il polso. 🙂

    …Detto questo, io credo che molto spesso il torto e la ragione siano condizionati dai possibili punti di vista. Può esistere solo uno dei due o entrambi ma ciò che conta è quello che c’è all’interno di un qualsiasi rapporto.
    Separarsi, oggi per me, significa sentire chi ho vicino e per poterlo fare devo riuscire a sentire me stesso. Fatto questo, sarà tutta un’altra la storia.

  4. 26 Maggio 2009 a 0:09 | #4

    @Claudio dei Norma e Koralyn
    Grazie a entrambi per questi commenti, ho apprezzato davvero la vostra sincerità.

    Non mi sento di aggiungere molto altro se non che quando parlo di separazioni, mi riferisco soprattutto a quelle interne da immagini/modelli che abbiamo assimilato e che ci portano a ripetere comportamenti lesivi verso noi stessi.

    L’unico modo, almeno nella mia esperienza, per interrompere certe coazioni a ripetere non è tanto separarsi dalle persone, ma separarsi da certe dinamiche interne che determinano le nostre scelte. Non è facile e non è un discorso teorico. Si tratta di piccoli passi quotidiani che diventano sempe più lunghi via via che si abbandonano certe immagini interne. E allora, più che liberi, come dice Claudio, siamo finalmente liberati.

  5. 25 Maggio 2009 a 10:29 | #5

    E’ una strada lunga e difficile, ma è tanto tanto appagante sapere di averla intrapresa e di non correre più il rischio di rimanere per sempre inconsapevole a non vivere una vita credendo di averla vissuta.
    Le separazioni sono sempre state complicate per me, sempre dolorose, ma spesso il dolore stava soprattutto nel fatto che non capivo bene in che direzione mi stavo muovendo, quindi soffrivo io, soffrivano gli altri, tutta una gran sofferenza generale. Ora il dolore c’è lo stesso, magari anche un pochino ogni giorno, ma è un bene “sentirlo”, capire per cosa si sta soffrendo, se ne vale la pena o se invece con quella separazione non si sta invece salvaguardando se stessi.
    Oltre alle separazioni, io, al contrario, ho sempre trovato difficile “restare” nelle situazioni, nei rapporti, mentre era molto facile alla prima difficiltà dire “ok, questa persona non va bene per me, non può andare, basta.”. Molto facile tagliare subito i ponti. Ora sto provando la nuova emozione di coltivare un rapporto, metterlo sempre alla prova, ma provando a farlo crescere. E’ bellissimo.

  6. 25 Maggio 2009 a 0:22 | #6

    “Sentire la propria realtà interna e quella degli altri prescinde da ogni condizione materiale, altra cosa è vivere ciò che si sente, che invece richiede grande attenzione anche alla realtà materiale propria e dell’altro”.

    Da troppo tempo ormai vivo nella mia realtà parallela, ciò di cui parli per me è divenuto un match egoticamente autoreferenziale da cui esco costantemente più lontano dal reale. Anche se nel reale vivono i miei amici NON immaginari.
    Siamo perfettibili, e per gli amici pronti a migliorare. Lo so, sarebbe meglio farlo per sé stessi, ma quando si tratta di farlo, mi rendo conto che nella mia dimensione non ho bisogno di cambiare, per cui la presunzione vince. E tempera.
    O Tempora O Mores.
    Pronto.

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