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Rifiuti

parole.jpgIn un commento fatto al post Tilt, l’amico Claudi-Norma si esprimeva così:

Spesso noto che le parole delle persone con cui parlo sono piene di bolle, o sono rosse oppure, peggio ancora, suppurano sostanze putride e oscure, mi sto accorgendo che le parole di molta gente sono malate e forse stanno contagiando il linguaggio. A volte, quando sento più soggetti infetti parlare tra di loro, mi chiedo che lingua parlino. C’è un morbo del linguaggio, e mi fa male, ma così male, pensare che molto probabilmente siano state le nostre menti ad averne creato il focolaio.
Vi prego, continuiamo a parlare. Comunichiamo, opponiamo resistenza a questo virus non solo linguistico, contrastiamo questa nuova lingua morta che sta prendendo il sopravvento. E’ l’avvento della Zombielalia.
Vi prego.
Suono eccessivamente catastrofista? Sembra che stia parlando ex cathedra? Mi dispiace, ma nelle scuole, sugli autobus, in metro e nei supermercati, nelle palestre e in piazza si sta diffondendo il morbo.

Il suo ragionamento riprende il filo di un discorso che avevo cominciato nel post Parole come macigni, riflettendo in quell’occasione sulle mie parole malate, che peraltro erano scritte per mio esclusivo uso e consumo.

Poi, durante l’ultimo periodo, parecchi dei frequentatori di questo spazio hanno confessato qui e nei loro blog la mancanza di entusiasmo e la scarsità di stimoli/idee, a partire da me che mi sono fermata proprio in funzione di certi comportamenti/parole, come dire? Discutibili? Incongruenti? Credo che malati/e sia la definizione giusta.

Mi sembra che la “malattia”, il morbo di cui parla Claudi-Norma si annidi in certe parole lucide e razionali che escludono totalmente la percezione di ciò che non è tangibile. Spesso, c’è un proliferare di discorsi che prescindono dalla realtà di chi ascolta, parole bellissime che messe insieme non significano un cazzo!

Il linguaggio non è solo la somma di ‘n’ parole, ma è o dovrebbe essere il risultato di un pensiero e di un sentire. La creatività non dovrebbe consistere solo nella scelta di parole grammaticalmente corrette, ma anche e soprattutto nella capacità di sentire e valutare cosa dire e cosa non dire. Sembra una banalità? Mah, sarà, ma ho conosciuto cani e gatti che con un Bau o un Miao erano capaci di comunicare molto più di tante persone…

  1. 23 Ottobre 2008 a 13:05 | #1

    Ora è più chiaro! Se si ha coscienza dei propri limiti, tutto si può migliorare in un rapporto, ma il nocciolo non è il dire o l’ascoltare, è il ‘sentire’.

    La pancia, non la testa. L’affetto, non la razionalità. Finchè continuiamo a parlarne così non arriviamo da nessuna parte… l’avevo detto io che non era un argomento da post! 🙂

  2. 23 Ottobre 2008 a 12:26 | #2

    …stavo riflettendo a voce alta 🙂
    In realta quello che volevo dire sta nelle due ultime due righe e cioè che si può parlare di parole malate sia dal punto di vista di chi le dice sia dal punto di vista di chi le ascolta.
    Nel senso che tu puoi dire qualcosa di “malato” ma puoi anche ascoltare in modo “malato”.

  3. 23 Ottobre 2008 a 7:03 | #3

    Sì, capisco tutto, ma tu di cosa parli? Riassumi teoricamente ciò che avevo cercato di tradurre in pratico (non so se riuscendoci).

    Ma tu cosa dici? Qual è il tuo pensiero? Da ciò che scrivi non lo capisco e, soprattutto, non capisco l’ultima frase… Se si parla di ‘linguaggio malato’ è chiaro che ci si riferisce a ciò che si ascolta, ma poiché si può scegliere di non ascoltare ciò che non ci convince, è sulle proprie parole vuote che si deve ragionare…

    Ci ho messo un pò a risponderti, da una parte perchè ha avuto orari di lavoro assurdi, dall’altra perchè non riuscivo a capire bene ciò che stavi dicendo… però, alla fine, mi sembra che tu non abbia detto nulla… con tutto l’affetto, ma rileggiti.

  4. 21 Ottobre 2008 a 10:47 | #4

    Difficile…È difficile scrivere le parole giuste ma non impossibile.
    Parlate anche del comunicare quello che si ha dentro a qualcuno.
    Parlate di un’immagine che da dentro ci fa costruire una qualsiasi frase.
    Parlate di una “malattia” che ha colpito proprio quell’immagine e naturalmente parlate di un rapporto attraverso cui queste parole prendono vita.
    Probabilmente parlate anche di chi le ascolta queste parole e della “malattia” che si può celare non solo nella parole dette ma anche in quelle ascoltate.

  5. 20 Ottobre 2008 a 17:47 | #5

    Sì, potrebbe.
    Non è un discorso facile da affrontare, anzi, forse neanche adatto a un post. Si corre il rischio di essere banali e io mi sono posta il problema.
    Forse, la differenza sta nel pensiero: se è “malato” o confuso lo sono anche le parole.

    Un pò me l’aspettavo che non ci fossero commenti e, in fondo, va bene così.

  6. 20 Ottobre 2008 a 15:56 | #6

    Sarà indicativo che non ci sono commenti…?

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